I disturbi del comportamento alimentare

Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) fornisce la seguente definizione dei disturbi del comportamento alimentare (DCO): “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.

Il DSM fornisce inoltre diverse categorie di disturbi del comportamento alimentare che possiamo sintetizzare nelle due principali: anoressia e bulimia.

 

Per quanto riguarda il cibo, negli esseri umani esso non ha solo il significato della nutrizione, ma riveste anche un senso affettivo e relazionale. I nostri stati d’animo risentono e condizionano il nostro modo di mangiare e in maniera del tutto soggettiva. Ad esempio, quando si è tristi, in alcuni casi si può sentire il bisogno di mangiare di più, anche in maniera irrefrenabile e compulsiva, in altri casi invece questo desiderio scompare del tutto. Il comportamento alimentare può assumere dunque sia un significato relazionale e comunicativo, per cui il rifiuto di mangiare sarebbe il rifiuto delle persone che ci sono più vicine, sia un valore simbolico di compensazione di ciò che manca o addirittura il significato di “cura” di uno stato d’animo depresso. Il cibo può assumere cioè la funzione di “farmaco”, sappiamo infatti come il cioccolato possa funzionare come una sorta di antidepressivo.

 

Anoressia e bulimia: qual è il loro significato?

Un disturbo del comportamento alimentare non riguarda dunque solo la sfera dell’alimentazione. Non costituisce cioè un puro problema di appetito bensì la punta di un iceberg, la manifestazione di  una o più difficoltà della sfera psichica, che affondano le loro radici nella storia individuale della persona.

Possiamo considerare l’anoressia e la bulimia come due declinazioni dello stesso fenomeno.

L’anoressia è un rifiuto, spesso drastico e persistente, di mangiare; è, in effetti, il rifiuto della vita stessa e di ogni legame con l’altro. Essa rappresenta la realizzazione di un unico, mortifero desiderio: quello di non avere più alcun desiderio. In effetti l’anoressia, prima che una malattia, è un tratto, uno stile, è la posizione soggettiva che si assume nei confronti della vita, una posizione di rifiuto tenace, grazie al quale la persona anoressica può trarre dal dire “no” a tutto, non solo al cibo, il proprio personale godimento.

L’anoressica – l’anoressia è una condizione per lo più femminile – in effetti non soffre. Sicuramente si ammala, fa ammalare il suo corpo di denutrizione, ma gode di questo, infatti non si lamenta, dice, anzi, che sta bene, quindi non chiede aiuto. Chi soffre sono invece i suoi familiari, che sono quelli che per lo più chiedono aiuto al posto suo.

L’anoressica giustifica la sua scelta di non mangiare come motivata dal desiderio di dimagrire per ottenere una forma corporea ottimale. Il suo corpo è in realtà un corpo che perde progressivamente tutte le caratteristiche della sessualità femminile. Perde le sue forme, diventa infantile, e progressivamente, ormai denutrito e scheletrico comincia ad ammalarsi e a presentare gli stessi sintomi di una menopausa precoce: il ciclo mestruale scompare, gli organi genitali si atrofizzano, cadono i capelli e talvolta anche i denti. L’anoressica realizza in questo modo il suo “desiderio segreto”, mortifero, di passare direttamente dall’età infantile a quella senile, saltando l’età fertile, fino a poterne morire, se non si interviene in tempo.

 

Al contrario, nella bulimia, si usa il cibo per riempirsi, al fine di compensare illusoriamente ogni vuoto interiore. La bulimia è un modo compulsivo di alimentarsi, di ingozzarsi per poi, procurandosi il vomito, svuotarsi altrettanto compulsivamente.

Il godimento della persona bulimica consiste nel dire, allo stesso tempo, “si” e “no” a tutto. Se l’anoressica esprime il rifiuto drastico e totale all’altro, alla vita, al suo essere donna e al desiderio, la bulimica sembra oscillare continuamente tra il desiderio di possedere del tutto l’altro e quello di rifiutarlo, altrettanto completamente. Mentre l’anoressia esprime la posizione del rifiuto irremovibile, la bulimia esprime la posizione dell’indecisione, della presenza e dell’assenza della domanda, dell’accettazione e del rifiuto, del pieno e del vuoto.

 

Il trattamento dei disturbi alimentari

La cura dei disturbi del comportamento alimentare non è semplice, in quanto, come per altri disturbi del comportamento, il paziente ne trae un godimento inconscio, come se egli si “affezionasse” al proprio sintomo.

La psicoanalisi ha permesso di comprendere che in molte forme della sofferenza umana, all’interno del sintomo e della sofferenza esiste un nucleo di intimo godimento.

Freud fu il primo ad accorgersene in quanto vide che spesso i suoi pazienti traevano anche dei vantaggi secondari dalla loro malattia, per esempio l’attenzione e l’accudimento che ricevevano dalle persone a loro vicine o l’esonero da compiti indesiderati. È proprio questo che rende spesso difficile la cura e soprattutto è questo che porta molti pazienti a resistere, a opporsi fino a sabotare la propria cura.

 

Oggi sono molti i casi di anoressia e di bulimia che vengono efficacemente curati attraverso un approccio integrato che unisce la psicoterapia all’apporto prezioso e imprescindibile di altre figure professionali. Il medico, e soprattutto il nutrizionista, sono fondamentali perché l’attenzione al corretto regime dietetico, la cura medica del corpo, il ristabilimento dei giusti parametri nutrizionali e il supporto alla famiglia non possono essere esclusi dal trattamento dei disturbi del comportamento alimentare.

A cura di Rossana Curatolo.

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